La storia dei mulini di Castelfranci

 

Mulini castelfranci
fonte immagine: www.castelfranci.com

Di forte fascino è la storia dei Mulini di Castelfranci, una storia ricca di potere ed emancipazione del popolo di cui si può essere orgogliosi e di cui si vuole dare una breve descrizione.

Innanzitutto è bene specificare che in epoca feudale Castelfranci aveva una gerarchia sociale tipica di quel periodo storico: vi era la nobiltà feudale, gerarchicamente posta al di sopra degli altri ceti, vi era il ceto medio ed infine i contadini, artigiani e servi; l’economia era estremamente agricola e contadina, grano, fieno e vigneti ed il fiume era il fulcro di tutta l’economia, utilizzato sia come infrastruttura di trasporto ma soprattutto come fonte primaria d’acqua per l’agricoltura. Ed è proprio sulla riva più ampia e piena del fiume Calore che nasce il mulino baronale, mulino che tuttavia assumerà una connotazione negativa nella storia del paese.

Il Mulino Baronale nel 1700 rappresentava un punto nevralgico nell’attività del paese: era in primis luogo ove il quale tutti i contadini del luogo, ma non solo, anche contadini delle zone limitrofe, portavano il proprio raccolto ai fini della molitura. Le acque del fiume Calore venivano raccolte tramite opportune canalizzazioni in legno, definite “palatizze”, queste conducevano l’acqua verso la ruota del mulino e quest’ultima trasformava il fiume calore in energia meccanica sfruttata per la molitura, per poi defluire attraverso i due archi scarico – ancora ben visibili – nuovamente nel fiume stesso. Pertanto, il mulino baronale rappresentava il luogo ove i contadini portavano i frutti del proprio lavoro al fine della molitura, mentre le contadine e le massaie vi si recavano per raccogliere l’acqua dal fiume calore per il raccolto e per lavare le attrezzature e gli abiti per tutta la propria famiglia. Ma non solo luogo di lavoro ma anche di ricreo: gli animali si dissetavano e i più giovani si facevano il bagno. Insomma il mulino baronale e la zona fluviale  prossima era il perno della vita sociale ma c’è anche da raccontare che lo stesso mulino all’epoca e con maggiore forza verso la fine del 700 rappresentava in pieno il potere del sovrano: era l’unico esistente, di proprietà Baronale, i quali richiedevano dai vassalli le opere di “parata” nonché  a tutti elevati dazi per l’utilizzo dello stesso, sicché dei frutti del proprio lavoro che i contadini vi portavano dopo la molitura ben poco rimaneva per la famiglia del contadino stesso.

Fu pertanto il mulino baronale l’oggetto che portò alla lite tra i popolani contro i poteri feudali che tra l’altro impedivano la costruzione di altri mulini lungo la riva del fiume. Nel 1806 a seguito dell’abolizione dei privilegi feudali viene istituita la Commissione Feudale -il cui compito era di ripartire i beni del feudo- che nel 1809 concedeva piena libertà di edificare mulini e strutture parate; fu così che nacque il mulino “re la Terra” (detto anche “Moliniello”). Tale mulino era una piccola ed umile struttura in pietra, un’alta torre che raccoglieva tutte le acque reflue della terra calcarea per farle cadere a pioggia sulla ruota; voluto dal popolo peri il popolo, piccolo ed umile ma purtroppo anche debole, difatti la carenza di acqua ne ha compromesso l’uso fin dalle origini e lo stesso ebbe davvero pochi anni di vita.

Pertanto il vecchio Mulino Baronale -nelle mani del casato dei Brancia- rimaneva l’unico davvero in grado di offrire la molitura oltretutto sempre più cara. Ancora una volta il potere sovrano che regna, sconfigge e trionfa sul popolo, piegandolo a rinunce, dazi e sacrifici.

Ma non è la fine della nostra storia. A seguito di anni di petizioni si arriverà ancora una volta, nel 1883, ad una nuova autorizzazione da parte di Ferdinando II “a costruire un nuovo mulino comunale che fosse di rimpiazzo a quello costruito nel 1809 e divenuto inoperoso (Moliniello re la Terra) volendo assecondare i voti della popolazione stessa”, nello specifico si autorizzava il comune a costruire il mulino sulla destra del fiume calore ai piedi del bosco Baiano ed ad opera dell’ingegnere Marino Massari. Nacque così, nel 1835 il nuovo mulino comunale di Baiano, un mulino ad acqua a ruota orizzontale, con alla base i due grossi porticati, ancora visibili, utile per far defluire l’acqua verso il fiume, a sud del mulino invece la lunga struttura di palizzate in cemento e pietra funzionali per convergere le acque all’interno del mulino, il quale stavolta era un mulino fiero, forte e produttivo che ha ridato alla gente locale la loro dignità. Dal gergo di tale struttura il nome con il quale gli abitanti del luogo usano definire “la palata”.

Perciò gli inizi del 1800 segnano a Castelfranci un primo importante passo di emancipazione ed indipendenza che si rispecchia nella storia dei mulini. Il mulino baronale ha rappresentato lungo tempo il potere sovrano, mentre il piccolo muliniello re la terra simboleggiava il popolo, anche nella sua debolezza e nella sua sconfitta. Infine il terzo mulino di baiano basso, a rappresentare nella sua evoluzione la contemporaneità, nell’800 la contemporaneità di uno stato sociale in cambiamento che ridà al popolo potere, ma non solo in quanto nel 1900 lo stesso -forte nel simboleggiare il progresso della contemporaneità, diverrà una centrale elettrica, addirittura una delle prime di tutto il territorio Irpino, centrale che verrà chiusa con la nazionalizzazione dell’energia nella seconda metà del 1956, chiusura che tuttavia non ha abbattuto il terzo mulino comunale, oggi l’unico a non essere rudere ma, nella sua secolare contemporaneità, è divenuto un ristorante elegante e raffinato ed in parte un’area pic-nic di ricreo.